Nel bel mezzo della società della trasparenza
Byung-Chul Han ci descrive una società della trasparenza. Un concetto che mi ha accompagnata durante gli ultimi tre mesi trascorsi in Nuova Zelanda, dove rimossa da uno pseudo stato di delirio che ho trovato caratterizzare molti degli abitanti della città di Amsterdam, ho iniziato a leggere di filosofia. Ero a San Giminiano, quando all’Illustrolibreria inciampai nel “Il bisogno di Filosofia” di Hegel curato da Christian Belli e Jamila M.H. Mascat. Hegel descrive la filosofia come un'esigenza profonda e insopprimibile dell'essere umano, un'istanza che è fortemente radicata nella sua natura. Questo bisogno, secondo Hegel è una necessità esistenziale. Gli uomini sentono il bisogno di comprendere il mondo che li circonda, di dare un senso all'esperienza, e di risolvere le contraddizioni che si presentano nella loro vita quotidiana. Ed oggi mai come prima, ci interroghiamo costantemente sul senso dell’esperienza che stiamo vivendo quando pure le colonne più salde che hanno portato avanti la nostra società iniziano lentamente a sfaldarsi.
Byung-Chul Han è uno dei filosofi di cui ho letto ed ascoltato di più negli ultimi mesi. I suoi libri, The Burnout Society (2010) e The Transparency Society (2012) propongono un’accurata critica al sistema sociale ed economico contemporanea senza distogliere lo sguardo dalla necessità di ognuno di noi di farne parte e vivere dignitosamente. Byung-Chul Han descrive la nostra società come una società della trasparenza, poiché privilegia l'apertura e la connessione come valori fondamentali, radicandosi in una cultura caratterizzata dalla diffusione digitale e da un voyeurismo reciproco, ossia la tendenza ad interessarsi ed osservare la vita degli altri in modo indiscreto. Una società dove la condivisione è tutto, e senza di essa i suoi componenti sembrano e sentono quasi di non vivere. Secondo l'analisi di Han, questa tendenza porta ad una svautazione della vera intimità e della connessione umana, che richiedono un gioco continuo di rivelazione e occultamento.
La società della trasparenza è anche la società della performance—relazione diretta ed evidente se si considera che ciò che non è visibile non può essere misurato, e ciò che non può essere misurato non può essere ottimizzato. Quando la nostra vita diventa interamente osservabile, si innescano meccanismi di competizione che non esisterebbero senza un costante confronto con gli altri. È così che mentre pubblico carousel su TikTok rassicurando chi mi segue di non essere indietro nella vita, mi ritrovo innondata di messaggi di giovani smarriti e mangiucchiati dall’ansia. Non mi sorprende, è difficile svegliarsi come nei posti di blocco, allineati in competizione con altri X miliardi di persone.
È inevitabile sentirsi indietro, sentirsi di non fare o essere abbastanza. Ogni giorno ci ritroviamo bombardati da conferme tangibili dei successi altrui, successi che vengono esibiti e misurati con precisione, creando questo continuo sottile senso di pressione. A questo si aggiunge l’arma più potente mai inventata dal neoliberalismo: il mantra del “Puoi essere ciò che vuoi, sta tutto nelle tue mani”. Questa narrazione, apparentemente motivante, ci spinge in una piuttosto direzione obbligata: possiamo immergerci nell’oceano rosso della competizione o ritrovarci esclusi, sentendoci perennemente inadeguati e insufficienti. Ma in fondo cosa stiamo rincorrendo davvero?
Un’altra delle falle principali della società della trasparenza secondo Han è che in un sistema dove tutto è visibile il concetto di fiducia inizia a traballare, in quanto quest’ultima si basa sull'incertezza e sull'accettazione del rischio. Quando ci fidiamo di qualcuno, esiste sempre un’area di occultamento, in quanto non possiamo conoscere o verificare ogni dettaglio delle sue intenzioni, azioni o pensieri. L'occultamento, quindi, è intrinseco alla fiducia, perché implica la disponibilità a credere che l'altro agirà in modo corretto anche in assenza di piena trasparenza. Nella società della trasparenza la fiducia viene sostituita dalla sorveglianza e dal controllo, dove gli individui poiché trasparenti diventano completamente visibili alle autorità o organizzazioni in senso lato che quindi possono esercitare diversi livelli di manipolazione e controllo in base alle informazioni condivise.
Se il contrario di competizione è collaborazione come il contrario di controllo è fiducia, sono quindi chiare le dinamiche che possono aiutarci a rimediare ad alcuni dei punti di rottura del nostro sistema. La capacità di stare insieme, di dialogare, di collaborare, di fidarsi nella relazione con l’altro sono tutti antidoti ad un mal di vivere che sembrerebbe caratterizzarci. Non è compito facile quello di costruire luoghi di incontro e scambio, quando siamo tutti più o meno incastrati in tendenze narcisistiche che lentamente ci derubano della nostra capacità di dare in modo non transazionale. Penso però che ci siano lì fuori tutte le risorse per creare spazi collettivi che diano vita ad una visione alternativa a chi la sta cercando. Spazi dedicati al dialogo profondo, canali di espressione creativa, collettivi che muovono più corpi all’unisono e che possano fungere da punti di riferimento per chi si sente smarrito.